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sabato 23 maggio 2015

L’impero del bere e il circo degli zingari

L’impero del bere e il circo degli zingari

Madre e figlio alla conquista della città con due locali di tendenza. Lei con il suo viaggio di libertà per un visionario mondo nomade; lui con il suo bistrot alla moda dall’ampia scelta di etichette ricercate.

Una famiglia, una società, una consolidata
ma sempre nuova proposta al pubblico.
L’arte del buon bere, il bel gusto della
cucina espressa, ma soprattutto il vero piacere che è
dato dalla socialità, come chiave di un successo conquistato
sul campo con la voglia di fare e il coraggio
di non fermarsi mai. A Pesaro non esistono due locali
“così lontani e così vicini”. Eppure Silvia e Matia, madre
e figlio, 53 anni lei e 33 lui, sono la vera unione che fa
la forza. Una forza a cui partecipano attivamente anche
il marito Stefano e l’altra figlia Martina. È la loro
impresa familiare – che, da ditta individuale costituita
nel 2007, nel 2012 è divenuta Sas – a firmare la regia di
due locali pesaresi, quasi fronte mare, che sanno cosa
vuole dire “forte caratterizzazione orientata al cliente”.
Il bar gastronomico Bibe et Impera, aperto nel 2007, e
il ristoro moderno Suite dei Tzénghne, inaugurato nel
2012. “Trattore” – non solo nel senso di gestore di trattoria,
ma in quello metaforico di mezzo per carichi pesanti
– l’infaticabile Silvia Terenzi che, oramai dal 2000,
non lavora più solo come assicuratrice.

Family Business-Life
«Nel 2006 uscivamo dalla bella esperienza di un ristorante-bar in spiaggia, con la convinzione di volere un’impresa familiare, senza altri soci racconta Silvia, sempre sorridente. Ma non ci siamo accordati di comprarlo. 

Poi, ho fatto una passeggiata in questa parte del viale e ho visto questo posto abbandonato
e il suo meraviglioso spazio esterno. Ci ho creduto
subito e ci siamo accordati per l’affitto. Era un locale
storico qui a Pesaro il Carambola, dagli anni ‘70 un
punto di riferimento per tante generazioni. Ancora oggi
molti lo ricordano, anche se noi abbiamo cambiato
radicalmente. In quasi un anno di studio il progetto
s’è definito attraverso un team di professionisti:
Italo Campagnoli come coordinatore, per l’immagine
il grafico Carlo Piazzesi, per gli arredi l’architetto
Giovanni Garattoni. Per mesi ci siamo confrontati
cercando di capire cosa sarebbe stato questo posto,
a chi si sarebbe rivolto. Lo abbiamo visto a febbraio
2007, in estate abbiamo fatto una pre-apertura solo
all’esterno e in dicembre la vera inaugurazione.»

Il bere che conquista
«Lo abbiamo chiamato Bibe et Impera – prosegue – per escludere l’inglese dal nostro modo di rapportarci a questa esperienza; adattare un motto latino ci
è sembrato l’ideale. Volevamo un locale che ruotasse
attorno alla figura di Matia come barman, qualcosa
che a Pesaro non si fosse mai visto. E abbiamo subito
puntato su una scelta del bere molto ampia, a cui mi
sono affiancata io per la linea gastronomica. Da subito,
mentre tutti facevano aperitivi a buffet, ci siamo
subito proposti con una rivisitazione delle tapas: “Il
Piattino”, piccoli piatti, su disegno di Piazzesi e ceramiche
Bucci, con cui gustare l’aperi-cena. Nell’estate
del 2011 eravamo aperti anche a pranzo e avevamo
studiato pure una formula da asporto, un “Cestino da
mare”, tre linee menu (vegetariano/carne/pesce), dal
primo alla frutta, molto curato anche nel packaging.
Poi ci siamo dedicati solo al serale. Ci siamo caratterizzati
come bistrot, curando in quell’ottica persino le
altezze di sedute e tavoli. Abbiamo creduto da sempre
su raffinatezza e ampiezza della proposta: una settantina
di superalcolici diversi, un centinaio di etichette
di vino, birra alla spina Forst e una decina di bionde
in bottiglia. Qualche anno fa, quando ne era partita la
moda romagnola, tenevamo in vendita anche tante tipologie
di bottiglie di acqua tra le più particolari, dalla
Fiji alla Ogo. Il mio rapporto con i fornitori è sempre
stato anche di amicizia. Sono loro che ci riforniscono
anche nell’altro locale, ma lì teniamo una minima selezione.
Un discorso completamente diverso.»

Zingari felici
«Tzénghne in dialetto pesarese significa “zingaro” –
spiega ancora Silvia – un nome non facile da pronunciare,
ma che incuriosisce. Un posto molto bohémien,
una tappa del mio sentire che mi sono ricreata io dopo
tanti anni di attività. Un luogo intimo. Un locale più
raccolto come struttura, più libero come concetto.
Ora ci siamo spostati di 50 metri, ma la vecchia sede,
con la sua tettoia, mi ha subito rapita: una roulotte di
zingari. Questo è infatti un viaggio nel mondo nomade,
nelle aree del Mediterraneo, tra i gitani di Spagna,
Sicilia e Turchia. Ovviamente anche nell’arredo e nello
stile, curato dall’artista Alessandro Ligabue. È stato lui
il visionario, io l’ho solo seguito. Sembra tutto buttato
al caso, ma in realtà non è così, è stato frutto di
una lunga ricerca, dalle stoffe ai quadri, ai bicchieri.
Siamo stati pubblicati anche su importanti riviste di
arredamento e design in virtù del nostro cavallo. Un
cavallo in resina, di dimensioni reali, che ora è tornato
intero, ma che nella sede di prima avevamo tagliato a
metà, da un muro entrava e da quello a fianco usciva.
Alessandro è stato geniale! Quanto al concetto che
sta dietro alla nostra offerta è quello di una moderna
osteria: sughi di pesce o di carne senza pasta, ma con il
pane per fare “scarpetta”; prosciutti al coltello, salumi
e formaggi selezionati. Ma soprattutto è un’osteria anche
nel modo di comunicare, non solo come mangiare.
Un posto dove stai gomito a gomito col vicino, senza
formalismi. In disordine, perché ci piace così. Qualcosa
di completamente diverso dal Bibe. Anche nel bere,
molta meno scelta. A parte una decina di etichette di
Vermouth, la mia passione, soprattutto anice, ouzo,
pastis, raki... sempre sulla rotta del Mediterraneo. Un
paio di gin, di rum e pochi vini in bottiglia, ora che abbiamo
abbandonato lo sfuso. D’inverno, vin brulé, d’estate
sangria. Caffè nella moka. E sino allo scorso anno
non facevamo i cocktail. Ora abbiamo ceduto, ma prima
davamo come gadget un cavallino, simbolo dello
Tzénghne, sconto sui cocktail se andavi al Bibe. Mentre
il Bibe, di contro, mandava da noi gli appassionati di
vermouth e anici, siamo a 500 metri di distanza!»


Locali Top - Aprile 2015 di Sanzia Milesi

                         

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